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venerdì 27 ottobre 2017

Oggi a Genova Il Grande Oriente d'Italia apre le porte al pubblico e mette le "carte in tavola" con una serie d'incontri culturali e artitistici.


The Oldest Masonic Lodge in the World, 1599 a.C.













'The oldest Masonic Lodge in the world (with verifiable lodge minutes) is the Lodge of Edinburgh No. 1, Edinburgh, Scotland...sometimes known as Mary's Chapel. In July, 1949, it observed its 350th anniversary of its establishment. In 2008, (at the time of this writing), Lodge of Edinburgh No. 1 is 409 years old.
Oldest Masonic Lodge Minutes - July 31, 1599: Lodge of Edinburgh No. 1 has records to prove its long time existence as the Oldest Masonic Lodge.
Most impressively, its first 5 pages of minutes incorporate the Schaw Statutes which are dated December 28, 1598.
Six months later, on July 31, 1599, are to be found the minutes which confirm the lodge's claim as having the oldest existing Masonic minutes. It must be noted, however, that from these minutes there exists no conclusive evidence that the lodge was actually constituted on this date nor that it is, in actuality, the oldest lodge.
Schaw Statutes: The Schaw Statutes (part of the Old Charges) are named for William Schaw, who was Master of Work to His Majesty and General Warden of the Masonic craft. In these Statutes, he declared that theses ordinances issued by him for the regulation of lodges considered the lodge at Edinburgh to be for all time, the first and principal lodge in Scotland.
Lodge of Edinburgh No. 1 was first called "The Lodge of Edinburgh" and retained this name until 1688, when the Grand Lodge of Scotland confirmed its charter, designating it as "The Lodge of Edinburgh (Mary's Chapel) No. 1"
Prominent members belonging to the Lodge of Edinburgh in its very early days were: His Royal Highness, the Prince of Wales (afterward called King Edward VII); His Royal Highness King Edward VIII
Both were affiliated with the lodge, taking the obligation on the "Breeches Bible", which was printed in 1587. The pen with which these 2 brothers signed the roll is still preserved in the Edinburgh Lodge No. 1 museum.'

Piazza Dalmazia, da oggi in libreria il nuovo libro di Mauro Cascio




Ma valeva la pena scrivere un libro su Piazza Dalmazia? Sì, se la filosofia urbana sa condurci da qualche parte. Allora quello progettato nella fermata di un autobus, aspettando il 38, diventa il più entusiasmante dei viaggi. Pieno di quei significati che nemmeno speravamo più. La comprensione del nostro destino ci aspetta da oggi in libreria. Mauro Cascio per Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno.

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Dopo la visita del Gran Maestro Stefano Bisi, i Fratelli della Loggia Circolo Democratico di Sarno hanno donato un bel macchinario alla Scugnizzeria di Scampia. Detto fatto.


Il 26 ottobre 1871, nasce a Roma il poeta dialettale Trilussa. Massone o non Massone? Scoprilo qui







Trilussa e la Massoneria di A. Z.
Estratto da Hiram n. 10, ottobre 1986 – Soc. Erasmo, Roma

Carlo Alberto Salustri, detto Trilussa, fu un massone che non venne mai iniziato nell’Ordine. Per
questo motivo, che può sembrare paradossale, si ritiene interessante lumeggiare il personaggio e
i suoi rapporti con l’Istituzione, attraverso le cose che sulla stessa ha scritto, le cose che ad essa
lo avvicinano, fino, da ultimo, alla domanda di affiliazione che presentò oramai in prossimità
della morte.
Nel panorama della letteratura italiana narratori e poeti spesso si sono avvicinati alla Massoneria
sia direttamente che indirettamente. Taluni, appartenenti all’ordine, hanno riportato nelle loro
opere il frutto degli studi esoterici e della filosofia dell’Istituzione; altri pur non appartenendovi
hanno colto certi insegnamenti; altri ancora hanno deriso o contrastato la Libera Muratoria
assegnandola, nella più benevola delle formulazioni, a quelle attività dell’uomo un po’ superflue
e un po’ goliardiche. Alcuni attraverso lo sviluppo e la dinamica del loro pensiero hanno finito
con l’approdare all’Ordine ancora in età tale da portare un contributo di lungo periodo; altri si
sono formati, anche come uomini, all’ombra dei simboli muratori, taluni nel ricordo di passate
presenze negli avvenimenti risorgimentali, altri ancora attirati e, direi, attivati dalla ricerca
iniziatica che è la prerogativa principale della Libera Muratoria.
Del tutto anomala, rispetto ad altre situazioni presenti appunto tra i protagonisti della storia
letteraria italiana, appare la vicenda di Trilussa, poeta dialettale romano fiorito tra gli ultimi anni
dell’800 e la seconda metà del ’900. La decisione di richiedere l’ammissione alla Libera
Muratoria la matura in tarda età tanto che la domanda, che pure era stata accolta, non ha seguito
per la morte improvvisa del poeta. Ed è curioso come anche la nomina a senatore lo raggiunga
appena venti giorni prima della sua morte, il 21 dicembre 1950, quando ormai la vita gli aveva
dato tutto quello che un artista può desiderare compreso l’ultimo riconoscimento, appunto quello
di senatore a vita, per aver con le proprie opere illustrato la Patria, come dice la motivazione
firmata da Luigi Einaudi.
Trilussa, tuttavia, non era mai stato un compiacente osservatore delle vicende dell’Italia, ma le
aveva sempre trattate con quella ironia che nasceva da una sorta di comune buon senso popolare,
che pervade tutta la sua opera, quando aveva sorriso sulle guerre propiziatrici dell’impero, o
quando, senza eccessi e col sorriso sulle labbra di chi intravede, nelle umane vicende, il buffo e
talvolta inutile agitarsi dei piccoli che vogliono apparire grandi; colpisce il regime fascista senza
usare mai, però, il metro pesante della fustigazione o dell’invettiva. D’altronde nello stesso modo
aveva ironizzato, durante l’era liberal-democratica, verso quei governi, e poi anche verso i partiti
che andavano allora formandosi e che erano ovviamente agguerriti e rinchiusi nelle loro
ideologie nascenti, talvolta con riferimento al fasti e nefasti ottocenteschi e risorgimentali,
talaltra per esplicita certificazione di nascita dovuta alle incalzanti nuove esigenze della storia e
dell’umanità.
È il suo un modo di rappresentarsi al di sopra delle parti, è un modo, quasi giornalistico, di
raccontare la propria insofferenza in versi, insofferenza che non ha nulla di rivoluzionarlo, di

combattivo ad oltranza, ma che si stempera nella vita quotidiana e in questa trova origine e morte
alla propria esistenza.
Pur tuttavia la Patria riconosce in lui un suo figlio benemerito e lo nomina senatore, e Trilussa,
come nella sua poesia, ringrazia ed esce dalla comune forse anche questa volta con ironia e con il
sorriso sulle labbra, conscio della caducità delle cose della vita. 1 piccoli personaggi, la piccola
umanità pure vengono chiamati, attraverso la sua persona, a posizioni più alte, vengono innalzati
dal pianterreno della vita e loro viene riconosciuta una importanza nuova, quella importanza che
Carlo Alberto Salustri aveva già deciso di riconoscergli in qualche modo facendoli tutti
protagonisti della propria arte.
L’epoca in cui visse Trilussa, fu un’epoca di transizione e nello stesso tempo di assestamento
della società italiana e di quella europea più in generale, anche dal punto di vista politico ed
economico. Dalla presa di Roma ad opera del nuovo Stato italiano nel 1870, un anno prima della
nascita del poeta, fino alla Grande Guerra e poi con la conclusione della Seconda Guerra
Mondiale l’Italia e l’Europa trovarono l’assestamento che tuttora permane. Ma anche dal punto
di vista culturale movimenti, scuole e indirizzi di vario genere fiorirono apportando una ventata
di cambiamenti nel canoni dell’arte così come erano fino ad allora conosciuti.
Anche la Massoneria subì i suoi travagli, i suoi adattamenti, dal punto di vista statuale, che i
tempi proponevano, cambiando spesso anche proprio la qualità degli uomini subì, nel corso del
tempo, soprattutto in Italia, una lenta trasformazione che finì con il portarla al superamento di
antichi vincoli riferiti al passato, restituendola in pieno ad una tradizione più vicina alle
Obbedienze europee che non avevano, almeno con i propri uomini se non certamente come
istituzioni, dovuto affrontare una dura prova politica ed ideologica come quella risorgimentale.
Pure, ancora all’epoca della giovinezza del poeta, talune antiche ferite erano presenti nell’anima
dell’Istituzione la quale con forza continuava a contrapporre il “libero pensiero” alla sorda
conservazione che sotto sotto covava nella società italiana vuoi per intimo convincimento, vuoi
per millenaria educazione, vuoi per attento e opportuno calcolo politico dovuto anche
all’economia dei tempi che venivano vissuti. E ancora lo sbandierato “Libertà, Uguaglianza,
Fratellanza”, ereditato dalle vicende transalpine della fine del secolo precedente e portato e
adattato alle italiche venture, suonava da una parte come richiamo ad un nuovo ordine etico e
sociale e quindi politico ed economico, e dall’altra appariva come il vessillo del sovvertimento di
valori consolidati dal tempo, come immiserimento dello spirito, quasi la premonizione e la
preparazione all’avvento dell’Anticristo.
Tuttavia non era la sola Massoneria italiana propugnatrice di questo sovvertimento. Anzi
all’interno della stessa si agitavano due anime che avrebbero portato alfine alla scissione del
Grande Oriente d’Italia, proprio, tra le altre più interne ragioni, su un fatto di natura
politicosociale: quello dell’insegnamento religioso nelle scuole. Anche tra i nuovi partiti, che
andavano formandosi e che nascevano dalla crisi dell’antica distinzione tra Destra e Sinistra
storiche, alcune delle idee propugnate dal massoni andavano prendendo consistenza, anche se
contenuti e forme dovevano essere forzatamente diverse.

Trilussa visse quest’epoca e la rappresentò nella sua poesia non prendendo però veramente parte,
non facendosi partigiano né di un passato che poco conosceva, ma neppure del futuro che non
voleva immaginare né profetizzare, accontentadosi piuttosto di registrare con l’ironia più che con
il sarcasmo, lo stato delle cose, con l’arguzia, ma anche con la bonomia, la compostezza e la
rassegnazione dei popolo che sa di non essere sovrano e che non se ne lamenta, o se ne lamenta
con moderazione, ma desidera almeno non essere portato per il naso.
L’attenzione di Trilussa è per le cose di tutti i giorni, per le cose minute che sono la
rappresentazione in sedicesimo dei grandi avvenimenti e sconvolgimenti che finiscono però col
non cambiare in alcun modo lo stato di coloro che non hanno voce nelle decisioni. E infatti
l’anima che il poeta interpreta è sempre quella della buona piccola borghesia che, se pure ancora
legata agli ideali del Risorgimento, è tuttavia lontana dalle infatuazioni di ogni genere che i
tempi suggerirebbero, sensibile solo ai problemi e alle norme fondamentali della vita quotidiana.
Ma non una borghesia tutta romana, come tutto romano era stato il popolino irriverente ed
anticlericale del Belli, né una vera e propria borghesia che oramai sembrava aver già acquisito un
senso della nazionalità e della appartenenza allo Stato italiano con tutti i suoi problemi e le sue
aspirazioni, quale era quella emersa dalla poesia del Pascarella di “Villa Glori” e di “Storia
nostra”. Piuttosto era una borghesia impiegatizia e di varia etnicità, calata a Roma al seguito del
trasferimento della capitale e dello Stato amministrativo, una Buzzurropoli in cui dissidi e
conflitti Trilussa avvertiva come puri e semplici riflessi di una precaria situazione sociale e
morale.
Era la stessa società che, con riferimento alle sollecitudini e alle vicende del proprio piccolo
mondo, sarebbe rappresentata più tardi da Pirandello, il quale avrebbe spinto proprio questi
dissidi e questi conflitti di cui Trilussa, dicevo prima, aveva gia avvertito l’esistenza, alle soglie
di un conflitto gnoseologico ed ontologico fra sogno e realtà.Il mezzo della poesia in vernacolo
di per sé consente maggiori possibilità alla satira che non quello in lingua. E in modo particolare
quel certo “spirito”,che da sempre è parte del costume dei napoletani e dei romani, trova una sua
nobilitazione proprio nella poesia in vernacolo. Talvolta però l’ispirazione liricizzante appanna la
vena satirica di un Salvatore Di Giacomo, mentre più raramente, per non dire quasi mai, accade
nella poesia romanesca, ed è in questo contesto che va collocato Trilussa, appunto, nella storia
della poesia dialettale romana.
Se il Belli è la voce autentica, se pure genialmente portata sul piano dell’universale, della plebe
romana del periodo più oscuro e disastroso dell’agonizzante potere temporale, di una collettività
cioè priva di ogni illuminazione spirituale, chiusa in un opaco destino senza apparente uscita; se
nel Pascarella si registra il decisivo spostamento verso il popolo da cui erano usciti Monti,
Tognetti e Giuditta Tavani Arquati; Trilussa ci rappresenta la romanità nuova, la collettività
impiegatizia che legge il giornale, che crede di intendersi anche dei problemi politici
fondamentali, che pretende d’interpretarli e risolverli sulla base dei suoi elementari bisogni e
delle semplici ma solide sue pregiudiziali etiche, che risulta dalla fusio ne fra i vecchi “romani de
Roma” e il buzzurrame piovuto nell’Urbe che tutta via, negli spiriti migliori, trova anche il
tempo per una riflessione, se non proprio culturale e spirituale, attenta almeno e ben disposta
verso quelle manifestazioni che con la cultura e lo spirito appaiono avere una qualche

connessione, come la Istituzione libero-muratoria alla quale finiscono per aderire e non solo per
utile tornaconto personale.
La riprova di tutto ciò è nel carattere di tenue coloritura esteriore che il dialetto romanesco ha
nella compagine linguistica di Trilussa, in cui tocca il vertice quel processo di progressiva
attenuazione, di regolarizzazione e raddolcimento che il romanesco palesa nella poesia a partire
dai successori del Belli; le parolacce così sistematicamente frequenti in Giuseppe Gioacchino e
non rare neanche nel Pascarella, sono invece rarissime in Trilussa, il quale parla come
normalmente parla il romano oramai civilizzato (ciovile direbbe appunto Trilussa), che ha
ricevuto una certa educazione e si esprime all’usuale livello della piccola borghesia ben
costumata.
Ed ecco, quindi, che anche nel linguaggio usato, Trilussa si appropria di una universalità che
manca alla satira di altri poeti dialettali.
Questa universalità del mondo poetico di Trilussa; questi travagli dei suoi personaggi, siano essi
uomini o gli animali delle favole, che finiscono con l’essere problemi di fondo dell’umanità, detti
con il tono sornione e quasi distaccato di chi non vorrebbe se ne capisse l’intima importanza, di
chi sembrerebbe interessato soltanto al motto di spirito, che pure c’è, allo scherzo liberatorio, ma
non troppo; questa universalità, dicevo, fa di Trilussa l’uomo, il poeta vicino agli ideali della
Libera Muratoria.
Nonostante appaia nelle sue opere talvolta come insofferente a tutto quello che lo circonda, per
principio contrario a re, repubblica, socialismo, clericalismo, democrazia, anarchia, tuttavia la
sua anima non è “qualunquista”. Anzi ironizza anche su quel movimento affermatosi in Italia
negli ultimi anni di questo dopoguerra che si faceva chiamare “Uomo qualunque-:
“Omo qualunque” spesso fa er tribbuno

pe diventà quarcuno
ma quanno semo ar dunque
è un tribbuno qualunque

dice il poeta in una inedita poesia riportata da Giuseppe D’Arrigo nel suo “Trilussa”. Certamente
non trova nelle istituzioni umane, o per meglio dire, negli uomini che le rappresentano, quelle
doti etiche alle quali il poeta fa continuo riferimento e che vorrebbe, invece, fossero tra tutti gli
uomini patrimonio comune. Ed anche in questa aspirazione, in questa ricerca e in questa
denuncia, sembra richiamare gli ideali della Massoneria al di là delle dirette chiamate in causa
rappresentate da i quattro sonetti “Li frammassoni de jeri” e “Li frammassoni de oggi”, dove
certamente non colpisce tanto le idee della Frammassoneria, quanto l’applicazione delle stesse da
parte di massoni che allora come oggi dovevano aver dato una rappresentazione della

Massoneria certamente poco felice. Tuttavia è interessante annotare che l’ultima terzina del
primo sonetto de “Li frammassoni de oggi”:

Perché la Fratellanza Universale
che ce riuniva tutti in una fede
finì co la chiusura der locale.

è riportata dal poeta, autografa e firmata, sul frontespizio del “Libro dei Rituali” di Salvatore
Farina edito a Roma nel 1946 dalle Edizioni Piccinelli, ed è evidentemente riferita alle vicende
del ’25 quando il Fascismo sciolse la Massoneria e si accanì particolarmente col Grande Oriente
di Palazzo Giustiniani.
Ma anche in altre poesie, non specificatamente interessanti la Libera Muratoria, continuamente
ricorrono non solo concetti che richiamino quelli propugnati dalla Massoneria, ma anche
deliberatamente poesie intitolate alla “Fratellanza”, alla “Libertà”, all’ “Uguaglianza”, al “Libero
Pensiero”.
C’è pure in Trilussa questa aspirazione all’universalità e all’uguaglianza, questo riconoscimento
dell’universalità e dell’uguaglianza che in qualche modo si realizza, che non solo trovi
espressione nelle cose quotidiane e di piccolo respiro, ma soprattutto spazi nelle grandi tragedie
che sconvolgono l’Umanità, come la guerra. In “Fra cent’anni” del 1915 da “Lupi e agnelli” il
poeta, a proposito della Prima Guerra Mondiale che sta sconvolgendo l’Europa, afferma:

Da qui a cent’anni, quanno
ritroveranno ner zappà la terra
li resti de li poveri sordati
morti ammazzati in guerra,
pensate un po’ che montarozzo d’ossa
che fricandò de teschi
scapperà fòra da la terrà smossa!
Saranno eroi tedeschi,

francesi, russi, ingresi,
de tutti li
paesi.
O gialla o rossa o nera
ognuno avrà difeso una bandiera;
qualunque sia la patria, o brutta o bella,

sarà morto per quella.
Ma lì sotto, però, diventeranno
tutti compagni, senza
nessuna diferenza.
Nell’occhio vóto e fonno
non ce sarà né l’odio né l’amore
pe’ le cose der monno.
Ne la bocca scarnita
non resterà che l’urtima risata
a la minchionatura della vita.
E diranno fra loro: – Solo adesso
ciavemo pe lo meno la speranza
de godesse la pace e l’uguajanza
che cianno predicato tanto spesso.

Tutti saranno divenuti compagni, in pace tra loro, uguali nella morte, la nera signora che anche il
massone Antonio de Curtis, in arte Totò, ne “A livella” dirà che tutti rende uguali e senza
differenze.

E ancora in “Bolla de sapone” Trilussa che sembra una volta di più quasi chiudere un discorso in
maniera amara, invece anche qui l’aspetto apparentemente negativo della morale finisce per
essere, ancora una volta, una indicazione del pensiero trilussiano tutto improntato al
ridimensionamento, è vero, del diverso, alla indicazione del caduco, ma anche alla certezza che
tutto in un certo momento sarà livellato, riportato all’uguaglianza, sia pure in una “lagrima de
pianto”.

Lo sai ched’è la Bolla de Sapone?
L’astuccio trasparente d’un sospiro.
Uscita da la canna vola in giro,
sballottolata senza direzzione,
pe’ fasse cunnolà come se sia
dall’aria stessa che la porta via.
Una farfalla bianca, un certo giorno,
ner vede quela palla cristallina
che rispecchiava come una vetrina
tutta la robba che ciaveva intorno,
j’agnede incontro e la chiamò: – Sorella,
fammete rimirà! Quanto sei bella!
Er cielo, er mare, l’arberi, li fiori
pare che t’accompagnino ner volo:
e inentre rubbi, in un momento solo,
tutte le luci e tutti li colori,
te godi er monno e te ne vai tranquilla

ner sole che sbrilluccica e sfavilla.
La Bolla de Sapone je rispose: -
So’ bella, sì, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte delle cose,
sta chiusa in una goccia... Tutto quanto
finisce in una lagrima de pianto.

Ma questo pessimismo di Trilussa, a mio avviso, non è distruttivo. Questo rendersi ragione della
negatività di cui è corredata la vicenda dell’Umanità; questo senso del “pantarei“-, del transeunte
e della caducità delle cose non è nichilismo ottuso e cieco senza speranza. Non è la malattia
mortale- che colpisce l’esistenzialismo disperato e ateo che ancora corre nel pensiero
occidentale. Nasconde invece la speranza che alla fine l’Umanità sia riscattata, che almeno le
sofferenze servano a migliorare il mondo. Qua e là tra il sorriso ironico e la satira pungente,
anche se non proprio graffiante, tra le favole dove gli animali si dimostrano e si riconoscono
migliori dell’uomo, anche se talvolta con l’amaro in bocca, spunta la speranza di Trilussa nel
momento più inaspettato a conferma che la sua visione del mondo non è del tutto negativa.
Ed è in fondo questa speranza che concettualmente la Libera Muratoria consegna e affida al
propri aderenti, spingendoli a lavorare “per il bene e il progresso dell’Umanità”. E questo
Trilussa lo sa benissimo. La paura poteva essere che non tutti avessero compreso bene il
precetto, e che anzi non volessero capirlo, e che limitassero la loro adesione alla Massoneria al:

... giochetto de le deta...

Nei rapporti poetici con la Massoneria legati al quattro sonetti gia citati, non può essere presa in
seria considerazione la teoria, per così dire statistica, che avanza Ettore Paratore nel due scritti
pubblicati dall’Istituto di studi romani in occasione del Centenario della nascita di Trilussa.
Argomenta, infatti, il Paratore che a “fronte di ventiquattro espliciti pamplhets poetici del
periodo prefascista contro la retorica socialdemocratica e sempre rilevanti un preciso intento
politico e un intento sempre sfottitorio al danni degli ideali socialisti e delle infatuazioni per la
democrazia più sinistrorsa”, “solo quattro o cinque”, invece, “sono quelli in cui la frecciata al
fascismo si configura in maniera evidente”. E ancora che il breve ciclo formato dal due sonetti

intitolato “I frammassoni de oggi” che è stato addirittura composto negli anni del fascismo,
“dopo i provvedimenti presi contro la società dei Grande Architetto, è irridente le attività della
Massoneria, con quella inimitabile tendenza smitizzatrice e ridimensionatrice che lo
contraddistingue e che è il segno infallibile del suo equilibrio e della sua onestà, Trilussa dà un
colpo al cerchio e uno alla botte, facendo le sue ironie su chi si sbracciava a salutare
romanamente ‘pro bono pacis’. Ma è evidente che chi ne fa le spese in misura più massiccia è
l’ambiente massonico”. E con questa statistica numerica ritiene di aver giustificato una classifica
dell’insofferenza trilussiana che vedrebbe la Massoneria precedere il fascismo nell’antipatia di
Trilussa.
Sarebbe veramente curioso pensare che un uomo della cultura di Ettore Paratore non avesse
inteso effettivamente il pensiero di Trilussa, se non fosse altrettanto nota, oltre la sua sensibilità
critica e culturale, la sua appartenenza anche politica a ben individuati ambienti culturali della
destra conservatrice, passato di volta in volta dal più moderati a quelli più estremistici, che lo
hanno portato a ridimensionare quanto, in verità troppo spesso, la più recente critica, anche di
estrazione marxista, ha voluto attribuire a Croce e proprio a Trilussa circa il loro atteggiamento
contrario al regime durante il periodo fascista, considerandoli le due uniche voci solitarie ancora
capaci di parlare liberamente nel generalizzato conformismo del culturame imposto dal
Minculpop. Certamente i nostri non sono stati gli unici, né la loro è stata una voce
particolarmente rumorosa e avversa, particolarmente contraria al regime in sé, dato anche lo
scarso interesse per quella cultura dai due dimostrato, e per quel tanto di snobismo culturale, ma
anche per la sincera e schietta valutazione della propria posizione e, soprattutto per Trilussa, per
quel senso tutto romano dell’ironia e della capacità di credere che lo scherzo e la battuta,
quand’anche si dimostrassero veritieri della realtà, non possono essere causa di un reato o
accusati di irrispettosità oltraggiosa sia pure da un regime come quello fascista.
Tuttavia al di là delle polemiche diciamo ideologiche, mi preme sottolineare come proprio dai
quattro sonetti intitolati alla Massoneria di ieri e di oggi, emerga invece una posizione dei poeta
che non è senz’altro negativa della Istituzione, mentre da altre, forse anche dimenticate dal
Paratore oltre le quattro o cinque citate, appare evidente l’insofferenza di Trilussa per quanto il
regime andava costruendo. Mentre la satira dei sonetti “massonici” non colpisce direttamente
l’ideologia, che anzi trova modo di apprezzare, ma irride anche bonariamente all’atteggiamento
di coloro che vi appartengono, forse perché appunto borghesucci ministeriali che nulla hanno a
che vedere con il “generone” dei vecchi borghesi romani, nelle poesie ispirate al regime fascista
capovolge completamente lo sfottimento e colpisce più l’ideologia che non le persone, così come
aveva già fatto a proposito delle imprese coloniali e delle velleità imperiali dell’Italia della fine
dell’Ottocento e dei primi del Novecento. Nel sonetto “L’aquila romana” del 1911, l’anno delle
magniloquenti celebrazioni del cinquantenario dell’unità, termina con la famosissima chiusa
posta in bocca alla lupa:

Pur’io, va là, ciò fatto un ber guadagno
a fa’ da balia a Romolo! Accicoria!

Se avessi da rifà la stessa storia
invece d’allattallo me lo magno.

Nel primo sonetto de “Li framassoni de jeri”, scritto, come il secondo, sempre nel 1911, il poeta
ironicamente lamenta che il Grande Architetto poco più assiste i lavori della Massoneria, cioè a
dire che i massoni non seguono più i lavori come avrebbero dovuto. Ed anche nel secondo, oltre
a ribadire la presenza del Grande Architetto, rinforza il discorso sulle attività, invece, degli
uomini massoni, che non sempre sono adeguate alle idealità della Istituzione.
Che credi tu? Ch’a le rivoluzzioni
fossero carbonari per davero,
còr sacco su le spalle e er grugno nero?
Ma che! E’ lo stesso de li frammassoni.
So’ muratori, sì, ma mica è vero
che te vengheno a mette li mattoni!
Loro so’ muratori d’opinioni,
cianno la puzzolana ner pensiero.
Tutta la mano d’opera se basa
ner demolì li preti, còr proggetto
de fabbricaie sopra un’antra casa.
Pe’ questo so’ chiamati muratori
e er loro Dio lo chiarneno Architetto...
Ma poco più j’assiste a li lavori!

Dove è evidente la riprovazione del comportamento più che dell’idea, perché oramai anche la
guida del Grande Architetto poco assiste al lavori che nel tempo presente hanno deviato dalla
tradizione antica.

E siccome er Dio loro è libberale,
ma gira gira è sempre er Padreterno,
ne vìè ch’er frammassone va ar governo
ce trova er prete e ce rimane eguale.
Se sa, l’ambizzioncella personale
Je strozza spesso er sentimento interno:
è un modo de pensà tutto moderno
e in questo nun ce trovo ‘sto gran male.
Se er frammassone cià li tre puntini,
er prete cíà er treppizzi, e m’hai da ammette
che armeno in questo qui je s’avvicini:
vedrai che troveranno la maniera
de sarvà capra e cavoli còr mette
un puntino per pizzo e... bona sera!

Sottolinea che l’ambizione personale dei singoli vince il sentimento che dovrebbero avere i
massoni. Li scusa, non trovandoci poi cosi gran male con il moderno modo di pensare.
L’aggettivo “moderno” assurge qui quasi a contrapposizione con l’aggettivo “antico”, ma nello
stesso tempo serve appunto a ribadire che qualcosa di nuovo, di diverso c’è, ma tra gli uomini.E
nei successivi due sonetti de “Li frammassoni de oggi”, torna sull’argomento lamentando sempre
la differenza tra i puri e veri massoni e quelli, invece, che ora costretti allo scoperto,
continueranno a comportarsi in modo difforme dagli ideali che sostengono solo a parole.

Un anno fa, quann’ero frammassone,

se strignevo la mano d’un fratello
me ricordavo der tinticarello,
ma lo facevo senza convinzione.
Annavo in Loggia pe’ giocà a scopone,
a sett’e mezzo, a briscola, a piattello,
con uno scopo solo, ch’era quello
de poté mijorà la condizzione.
Ma da quanno ce chiusero la Loggia
nun trovi più nessuno che ce crede,
nun trovi più nessuno che t’appoggia.
Perché la Fratellanza Universale
che ce riuniva tutti in una fede
finì co’ la chiusura del locale.

Nella prima terzina del sonetto, che in genere avvia in Trilussa la conclusione della morale, poi
ampiamente disimpegnata nella seconda, e che rappresenta il pensiero del poeta, come la
seconda rappresenta la constatazione che trae dalla quotidianità, lamenta che più nessuno ci
crede e ti appoggia, ognuno si ritrae soprattutto per mancanza di quella coerenza che il poeta più
di ogni altra cosa condanna.

Er frammassone d’oggi, s’è prudente,
pe’ sta tranquillo e fa’ la vita quieta,
invece del giochetto de la deta
s’adatta a salutà romanamente.
Così che ce capischi? Un accidente.

Finché l’associazione era segreta
se sapeva dall’a fino a la zeta,
nome e cognome d’ogni componente.
Invece mò, che non è più un mistero,
Chi riconosce er frammassone puro?
Chi riconosce er frammassone vero?
Chi riconosce er frammassone esperto
che, nun potenno lavorà a lo scuro,
te dà le fregature a lo scoperto?

Anche in questo sonetto la prima terzina mette in rilievo il massone puro e vero e lo contrappone
a quello “esperto” del primo verso della seconda terzina, quello che potendola dare al coperto,
probabilmente confuso nel nuovo regime, la “fregatura” la dà ora scopertamente. E tra questo
“alo scuro” e a “lo scoperto” consiste proprio lo lato che registra Trilussa tra comportamento e
idea.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando dopo la caduta del fascismo e la
liberazione in Italia riprendono le attività anche culturali, e pure i lavori della Massoneria
riprendono “forza e vigore”, Trilussa, sollecitato da amici massoni, come d’altronde è costume
dell’Istituzione, chiede l’affiliazione che viene senz’altro accettata e che purtroppo soltanto la
morte impedisce di sancire ritualmente. E d’altronde la sua non è una richiesta senza coscienza, è
sorretta dalla conoscenza, almeno libraria, delle cose della Massoneria, e dalla certezza della
buona fede delle persone che lo invitavano.
Virtualmente, però, Trilussa, che aveva per tutta la vita creduto nel “Libero Pensiero”, non
certamente quello sbandierato da coloro che lo invocavano a giustificazione del proprio
tornaconto e di una malintesa libertà faccendiera; che aveva avuto sempre presente il trinomio
massonico e si era sforzato di applicarlo coerentemente nella propria vita; Trilussa che,
nonostante l’ironia e il pessimismo nei confronti dell’uomo, non era stato mai un ateo, Trilussa,
dicevo, può essere annoverato nella schiera di coloro che sono o sono stati massoni a buon diritto
e non solo perché la sua domanda era stata formalmente accettata.

Cecina. La loggia Luce e Progresso n° 131 fa dono a una palestra di un defibrillatore



La logge Luce e Progresso  N. 131 di Cecina (Livorno) ha donato una defibrillatore per permettere la prosecuzione delle attività sportive, altrimenti compromesse, di una palestra locale, frequentata da adulti e bambini, che fa capo a un’associazione che si occupa della divulgazione e dell’insegnamento di una disciplina orientale, il TaekWon-Do-Ju-Che. La struttura, chiusa per la mancanza di questo importantissimo strumento salvavita, potrà ora riaprire i battenti e riprendere i corsi che erano stati interrotti. A consegnare il defibrillatore a Graziano Bacco e Grazia Nenciati, maestri 6 dan della disciplina orientale, rappresentanti dell’Associazione, è stato Dino Ceccarelli, maestro venerabile dell’antica officina che vanta 135 anni di storia e un forte legame con il territorio. enti e soddisfatti. Tanti i ringraziamenti arrivati ai fratelli di Cecina per essere intervenuti in aiuto di una realtà che rappresenta un punto di riferimento per tanti ragazzi.

Il Gran Maestro Stefano Bisi a Smirne, ospite d’onore di una tornata rituale delle Logge della Gran Loggia di Turchia




A Izmir, l’antica Smirne, terza città della Turchia con quasi 5 milioni di abitanti, situata nella parte centro-occidentale del Paese, si è svolta una tornata rituale delle numerose officine della Gran Loggia di Turchia. Ospite d’onore della tornata tenutasi in un noto albergo cittadino, il Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi al quale è stata riservata una calorosa accoglienza e che è stato chiamato a tenere l’allocuzione su “La Turchia: ponte tra Oriente ed Occidente”, alla presenza del Gran Maestro Bülent Akkan, del Gran Segretario Selim Ors, dell’ex Gran Maestro Remzi Saver e di numerosi alti dignitari e fratelli.
“Sono qui, in questa generosa ed antica terra, – ha detto il Gran Maestro Bisi – per la terza volta ma per me è sempre come fosse la prima volta ed avverto e vedo in modo palpabile il Grande  afflato e il comune affetto che ci unisce ormai da qualche anno. Un legame che ha solide ed antiche radici nel passato perché furono dei fratelli italiani a favorire la nascita del Grande Oriente turco nel 1908.
Io e gli oltre 23mila fratelli del Grande Oriente d’Italia non dimenticheremo mai il vostro fraterno gesto con cui due anni fa ci avete riconosciuto chiudendo la porta ad un lontano e spiacevole evento del passato e il fatto che avete voluto anticiparlo con la vostra visita alla nostra Gran Loggia di Rimini. Voi carissimi fratelli avete costruito un vero e proprio ponte d’amicizia attraversandolo per primo e abbracciando cosi i vostri fratelli italiani. I nostri rapporti da allora si sono rinsaldati e lo saranno sempre più anche in futuro”.
Il Gran Maestro Bisi ha poi messo in primo piano il ruolo nevralgico della Turchia e il suo “essere ponte” che deve unire i popoli.
“Atatürk ha posto 80 anni fa le solide basi facendo sì che la Turchia diventasse una nazione laica e democratica, un vero e proprio ponte fra Oriente ed Occidente. E questa vostra grande nazione continua ad avere un ruolo strategico  cruciale ancora oggi nel quadro europeo. La Turchia, che al pari dell’Italia sta vivendo da anni in prima linea, la grande tragedia dell’immigrazione, ha la grande missione di porsi come stato moderato ed equilibrato fra il mondo musulmano e quello occidentale. Solo puntando al dialogo, all’ascolto delle altrui visioni e diversita’, anteponendo gli interessi di tutti a quelli di pochi, si potrà favorire il processo di pace nello delicato scacchiere del mediterraneo, rintuzzando i fanatici proclami dell’Isis e mettendo al bando il terrorismo fondamentalista che non produce del bene ma solo del male. La Turchia, così come l’Italia, può e deve contribuire non poco alla stabilizzazione di un’area che è stata sempre ballerina e scossa da sismi che possono produrre effetti e scenari di guerra devastanti. I liberi muratori che da sempre sono costruttori di opere che mirano attraverso la primaria elevazione dell’Uomo-massone, allo sviluppo di idee e forme sociali volte al Bene dell’Umanità, non possono che cooperare uniti e coraggiosi all’affermazione della suprema Fratellanza che tutto unisce nel suo straordinario ed insuperabile trinomio di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza.
La Massoneria, a chi ancora oggi sorride dei nostri grembiuli e dei nostri rituali e pensa che siano superati, ha molto da dire e dare. In nessun’altra Istituzione al Mondo si possono vedere uomini diversi per razza, religione, pensiero politico, lavorare uniti e coesi sotto la volta stellata, percorrendo incessantemente il pavimento a scacchi e utilizzando antichi simboli e utensili che sono ancora oggi vivi e pulsanti e trasmettono a chi li sa leggere ed adoperare sublimi insegnamenti dell’Arte.
Da qui, da Izmir, deve essere edificato con forza e bellezza più che mai quell’ideale ponte che deve unire l’Europa all’ Occidente e che vedrà uniti in solida catena i fratelli turchi e italiani perché questa grande opera possa essere realizzata per portare pace ed armonia ai popoli. E all’ Umanita’ che vive momenti di grande difficoltà anche in altre parti del globo”.

giovedì 26 ottobre 2017

"Essi quindi salivano la scala curva, formata da tre, cinque, sette o più gradini".


La Loggia Elia Coppi di Cortona ha festeggiato i 40 anni con la Posa della Prima Pietra


Venerdì 6 ottobre, nella sala del “Papacello” presso la Villa Principesca del Palazzone, alla presenza del Gran Maestro Stefano Bisi la loggia Elia Coppi n. 930 all’Oriente di Cortona (AR) ha festeggiato il suo 40° anniversario celebrando come da consuetudine il rituale della Posa della Prima Pietra. L’edificio monumentale, costruito per volontà del Cardinale Silvio Passerini, vescovo di Cortona e governatore di Firenze tra il 1521 e il 1527 su progetto dell’architetto e poeta perugino Giovan Battista Caporali, discepolo del Perugino e amico di artisti dell’epoca come il Pinturicchio, il Bramante e il Signorelli, fu donato nel 1968 dal Conte Lorenzo Passerini alla Scuola Normale Superiore di Pisa per le sue attività didattiche e di convegnistica. Oltre 120 fratelli provenienti da vari Orienti, amiche ed amici hanno presenziato a questo suggestivo evento, impreziosito dalle esecuzioni musicali al pianoforte del Maestro  Francesco Attesti. I lavori sono stati condotti dal Maestro Venerabile Fiorenzo Belelli e le altre cariche della tornata sono state ricoperte di Maestri Venerabili di alcune logge delle province di Arezzo, Siena e Perugia, a testimonianza dello spirito fraterno che contraddistingue queste terre d’Etruria. Fra gli altri, hanno partecipato ai lavori il Grande Ufficiale Claudio Pagliai, il Segretario della Corte Centrale Raffaello Falsetti, l’Ispettore Magistrale Luca Calugi, il Garante d’Amicizia per la Gran Loggia del Guatemala Giampaolo Pagiotti, i Consiglieri dell’Ordine Luigi Vispi, Paolo Mercati e Giancarlo Petrillo, il Presidente del Collegio Circoscrizionale della Toscana Francesco Borgognoni accompagnato dall’Oratore Fabio Reale e l’Oratore del Collegio Circoscrizionale dell’Umbria Bruno Morozzi accompagnato dall’Ispettore Danilo Solfaroli.

Massoneria: passato, presente e futuro. Appuntamento il 9 novembre a Parma


“Massoneria: passato, presente e futuro” è il titolo dell’intervento che il Grande Oratore Claudio Bonvecchio terrà il 9 novembre a Parma in occasione dell’inaugurazione dell’Accademico dell’Università Popolare. L’evento è in programma per le ore 17  presso l’Istituto Storico della Resistenza e dell’ età contemporanea (Vicolo delle Asse,5). Interverranno Filippo Fritelli, presidente della Provincia di Parma e il presidente dell’Università Popolare, Italo Comelli, che presenterà i corsi.



ALLEGATI

La porta del Mediterraneo: immigrazione ed integrazione. Convegno ad Agrigento il 18 novembre




“La porta del Mediterraneo: immigrazione ed integrazione”. E’ il titolo del convegno che si terrà il 18 novembre ad Agrigento. L’appuntamento è alle ore 17 all’Hotel Akrabello in via Parco degli Angeli. Introdurrà il presidente del Collegio della Sicilia Antonino Recca, moderatore Pasquale Hamel, direttore del Museo della Società Siciliana di Storia Patria . I relatori saranno Alessandro Cecchi Paone, giornalista, e  Desiree Pangerac, docente universitaria di Antropologia dello Sviluppo. Le conclusioni saranno affidate al Gran Maestro Stefano Bisi.

ALLEGATI

Parma. Prima tornata a logge riunite dell’Emilia


Nel bellissimo salone del Circolo di Lettura a Parma si è tenuta il 14 ottobre la prima tornata a Logge Riunite dell’Emilia. Durante i lavori le diverse cariche sono state ricoperte dalle diverse logge della Comunione mentre il maglietto del maestro venerabile è stato tenuto dal Presidente del Collegio dell’Emilia Romagna il fratello Mario Martelli. All’ evento hanno preso parte il Gran Maestro Stefano Bisi e il Gm Onorario Francesco Rasi e altre alte cariche del Grande Oriente. La tornata è stata molto partecipata e i fratelli numerosi. Il Gran Maestro esprimendo compiacimento per il lavoro svolto portato avanti dai fratelli , ha invitato tutti a proseguire nel cammino di crescita.

Masonic video: Freemasonry Today!





Produced by the Grand Lodge of Indiana, this is an excellent overview of the Masonic fraternity. It describes the requirements and many of the benefits of membership. If you’re wondering what modern Freemasonry is all about this video is a great place to start.

Your lodge will perform three degrees (initiation ceremonies) for your education and enjoyment. These ceremonies are very dignified and inspirational. At no time will horseplay or indignities enter into the program. These degrees are very solemn and Masons take the task of making Masons very seriously. After becoming a Master Mason (the third degree of the lodge) you may seek membership in the many other Masonic related groups these are often referred to as appendant bodies.
This process of going through the degrees can be done traditionally in your own lodge with smaller groups that include other candidates entering your lodge just like you. This process would start with the Entered Apprentice degree and then move to the Fellow Craft degree and conclude with the Master Mason degree. This traditional process could take 3-6 months based on the system of the lodge you choose. This process is very rewarding and will help you get to know the brothers at your lodge.
In the last several years we have begun another process called the One Day Class. This process was developed to help compensate for the very busy schedules of modern life. In this situation the Entered Apprentice Degree, Fellow Craft Degree and Master Mason Degree are all taught in one day. You will be watching the process as an exemplar is used to represent all in the room rather than in the traditional format where you are a participant in your own degrees.
Whichever path you choose to becoming a Master Mason when it is complete you will be a Master Mason and can proudly consider yourself a member of the world�s oldest fraternal organization.
There are many more degrees you can take and several different groups you may choose to get involved with as you grow in the fraternity. These are only available to you after becoming a Master Mason click the link below to find out more.
Click here for information for what is available beyond being a Master Mason ->.



El “Rito Escocés Primitivo”





El Rito Escocés Primitivo o Gran Rito Escocés Primitivo (Early Grand Scottish Rite) es un rito masónico. Según Robert Ambelain, quien según sus propias palabras “despertó” este rito en 1985, fue el que se utilizaba en la Logia Saint Jean d Écosse en Marsella en el siglo XVIII, y que aparentemente se habría introducido en Francia en 1688 a través de los masones jacobitas exiliados en Saint-Germain-en-Laye. Sin embargo, no existe evidencia histórica de tales afirmaciones, que siguen siendo controvertidas hasta el día de hoy.


Historia

Según Robert Ambelain el Rito Escocés Primitivo fue practicado por los militares de las Logias jacobitas de los regimientos escoceses e irlandeses exiliados en Francia, y seguidores del rey Jaime II de Inglaterra, Estuardo. Estas logias jacobitas tenían ya amplia difusión hacia 1725, por lo que conformaron en ese año la “Muy Antigua y Honorable Sociedad de Masones en el Reino de Francia”. Sus rituales fueron formalizados en Marsella en 1751 por Georges de Wallnon (o Waldon), para la logia Saint Jean d’Écosse con sede en dicha ciudad.
Cabe advertir que buena parte de los actuales ritos que llevan el apelativo de “escocés” (como por ejemplo el Rito Escocés Antiguo y Aceptado) consideran, sin prueba documental, que dicha logia constituye de algún modo su origen histórico contemporáneo. En este sentido, los rituales del Rito Escocés Primitivo no son ajenos a este origen mítico en la logia Saint Jean d’Écosse de Marsella. Siguiendo este línea argumental de Ambelain, este Rito inspirará en gran medida al Rito de la Estricta Observancia Templaria y por ende al Rito Escocés Rectificado que se desprenderá del anterior.
Tanto el actual Rito Escocés Primitivo como el Rito Escocés Rectificado poseen grandes similitudes, en lo que refiere a su estructura y escala de grados, como en los arreos masónicos y rituales. El lema del Rito Escocés Primitivo es “Primigenius more majorem”. Este es el linaje que reclama el actual Rito Escocés Primitivo, que en su versión contemporánea de 1985, es obra fundamentalmente de Robert Ambelain.

Los rituales del rito

Cabe advertir que el término “Rito Escocés Primitivo”, o su equivalente proveniente de la lengua inglesa “Gran Rito Escocés Primitivo”, son de aparición muy tardía a finales del siglo XIX, en los llamados “Rituales de los grados del Early Grand Scottish Rite”, publicado en 1890 por Matthew McBlain. Estos rituales corresponden en realidad a la primera compilación de rituales del Rito Escocés o Rito Escocés Estándar, y nada tienen que ver con el Rito Escocés Primitivo surgido en el siglo XX, ni en origen ni en su forma.
Dada la confusión ritualística del siglo XVIII, muchos autores, como Alain Eadie entre otros, han utilizado este término para designar a lo que en realidad pudo haber sido el antecedente directo de los tres primeros grados que posteriormente conformarían por un lado la rama ritualística reformada, comprendida por el rito de la Estricta Observancia Templaria, el Rito Sueco, el Rito Zinnendorf y el Rito Escocés Rectificado, y por otro lado el Rito Escocés Antiguo y Aceptado, derivados todos ellos de los rituales británicos de los Moderns, en su traducción al francés de 1726 ó 1727.

Sin embargo, la comparación de los rituales contemporáneos de ambas familias de ritos apuntan a un origen distinto, siempre dentro de la familia ritualística francesa de los Moderns.

Las copias tardías de los rituales de la logia Saint Jean d’Écosse de Marsella que se conservan, contienen elementos de lo que sería con el tiempo tanto el Rito Escocés Antiguo y Aceptado como el actual Rito Escocés Primitivo y la rama de la masonería rectificada.
Por el contrario, a pesar de incluir el apelativo “escocés”, el hoy denominado Rito Escocés posee un origen propio bien distinto. Los actuales rituales que maneja la Gran Logia Francesa del Rito Escocés Primitivo fueron cuidadosamente editados por Ambelain en la década de los ochenta del siglo pasado. Esto se debió seguramente a que así se permitía la inclusión de miembros no cristianos, así como de doctrinas ajenas al cristianismo característico de la masonería francesa de finales del siglo XVIII.

Estado de la crítica y la investigación histórica

No es sino hasta 1777, cuando se le pide a la logia “Igualdad Perfecta” de Saint-Germain-en-Laye su integración en el recién creado Gran Oriente de Francia, que se puede considerar que este rito se instala propiamente en Francia. Sin embargo, parece ser que esta logia existía ya desde 1688 en el regimiento de jacobitas exiliados “Royal Irish”. Los historiadores creen que esto es probable, pero nunca se ha demostrado, ya que el ritual utilizado en el momento (1688) nunca fue encontrado. Por ello, no existe ninguna seguridad de que el rito que trabajaban las logias jacobitas en Saint-Germain-en-Laye fuese propiamente el Rito Escocés Primitivo.
Con respecto a la Logia Saint-Jean d Écosse de Marsella, al igual que otras logias, grandes logias y ritos masónicos franceses del momento, presume haber sido fundada el 17 de junio de 1751, no por un inglés o continental, sino con patente emitida directamente por un aristócrata escocés jacobita. Este personaje sería un cierto “Duvalmon”, “Valmont” o “Valuon”.
Fue su primer Venerable Maestro Alexander Routier. Sin embargo, este personaje nunca fue capaz de presentar la patente original, sino sólo los ejemplares más antiguos que poseía, es decir, supuestas copias que databan de 1784. Además, en años recientes se ha demostrado que ni en los archivos de la Gran Logia de Edimburgo ni en la antigua Gran Logia de Aberdeen existe traza alguna de la supuesta patente o de la emisión de las sucesivas copias. Los historiadores creen hoy que el origen debe ser considerado como legendario, ya que lo que se sugiere es que en realidad se trataba de justificar un origen independiente tanto de la Gran Logia de Inglaterra como del Gran Oriente de Francia.

La escala de grados


La escala de grados histórica
No existen referencias históricas de la escala de grados anteriores a la intervención de Robert Ambelain en 1985. De cualquier manera, lo que este autor sostiene es que la escala de grados histórica llegaba sólo hasta el quinto grado, Maestro Escocés o Caballero de San Andrés. Según Ambelain, la jerarquía del Rito Escocés Primitivo comprendía los siguientes grados:
II. Compañero
III. Maestro (o “Compañero Confirmado”)
IV. Maestro instalado (o Maestro de San Juan o Maestro de Logia)
V. Maestro Escocés o Caballero de San Andrés del Cardo
Grados practicados hoy
LOGIAS AZULES
I. Aprendiz
II. Compañero
III. Maestro (antes Compañero Confirmado)
LOGIAS ROJAS
IV. Maestro instalado (o Maestro de San Juan o Maestro de Logia)
V a. Maestro Escocés, Caballero de San Andrés
V b. Caballero de Jerusalén (grado alternativo a el anterior)
ORDEN INTERIOR
VI. Escudero Novicio del Templo
VII. Caballero del Templo

La Gran Logia Francesa del Rito Escocés Primitivo

La Gran Logia Francesa del Rito Escocés Primitivo “sucedió en 2001 en la Gran Logia del Rito Escocés Primitivo”, fundada en 1990 por Robert Ambelain, Albert y André Cools Fages. Se trata de una obediencia masónica mixta que tiene por objeto perpetuar el Rito Escocés Primitivo. Ya desde los tiempos de Ambelain, tiene la exclusividad legal universal de sus rituales, y por ende de su práctica. Por ello, ninguna otra obediencia masónica está legalmente capacitada para incluirlo entre sus ritos.
Esta es la razón por la que el Rito Escocés Primitivo es uno de los pocos ritos que no se trabaja en el Gran Oriente de Francia, obediencia multirritual mayoritaria en Francia. Sus logias trabajan “Para la Gloria de Dios Todopoderoso y Sublime Arquitecto del Universo”. En 2008, esta obediencia comprendía nueve talleres y algunos triángulos con aproximadamente 300 miembros.
Fuente: Wikipedia/Diario Masónico

Il Brindisi del Guardiano - The Tyler's Toast







Cari Fratelli della Catena Mistica,


la notte sta rapidamente svanendo:
Il nostro lavoro è terminato,
la festa è finita,
questo è l'ultimo brindisi.


Ed ora per ordine del Maestro Venerabile,
vi propongo il Brindisi del Guardiano:


A tutti i Fratelli poveri e afflitti,


ovunque siano dispersi sulla faccia della terra e sui mari,


augurando a loro una pronta ripresa dalle loro sofferenze,


ed un felice ritorno al loro paese natio,


se così è nei loro desideri.


Buon Fuoco, Fratelli.





Brethren of the Mystic Tye, 

the night is waning fast, 
Our work is done, 
Our feast is o'er 
This toast must be the last. 

Brethren, by the W. Ms command, 
I give you the TYLER'S TOAST. 

To all poor and distressed Freemasons, 

Wherever they may be, 

Scattered over the face of Earth and Water. 

Wishing them a speedy relief to their sufferings, 

and a safe return to their Native land should they so desire.


La Massoneria della Parola. Convegno del Rito di York Lazio con Massimo Agostini